Neanche il tempo di cominciare a riordinare le idee dopo la rinascita dell’ente provinciale, sia pure in verisone aleatoria e non elettiva, ed ecco che da Roma arriva un nuovo siluro. C’è grande preoccupazione per il destino della Provincia di Belluno, per gli effetti di quanto previsto nella legge di stabilità approvata venerdì notte con il voto di fiducia sul maxiemendamento governativo che incorpora l’intero testo della finanziaria. Sullo sfondo c’è la contestata riforma di questi enti appena entrata in vigore sulla base della cosiddetta legge Delrio.
In sostanza, per la Provincia dolomitica, che sta cercando di realizzare un proprio percorso di autonomia, si tratterebbe di perdere il 30% dei già pochi dipendenti su cui può contare per garantire una lunga serie di servizi fondamentali per la cittadinanza (dalla manutenzione degli edifici scolastici alla gestione di molte strade).
Stando alle indicazioni governative, infatti, un’ottantina di lavoratori dovrebbero essere ceduti entro due anni ad altri enti locali, cioè alla Regione o ai Comuni, o a uffici statali, in un quadro di totale confusione sia dal punto di vista funzionale (come farebbero a garantire il medesimo servizio se dislocati altrove) sia da quello contrattuale. Il governo sostiene che anche le funzioni delle Province ordinarie saranno dimezzate gradualmente nel corso di un quadriennio.
Nel Bellunese in questi giorni è già scattata la mobilitazione per dire no a quello che in molti considerano l’ennesimo colpo basso ai danni degli enti territoriali più deboli e in questo caso anche sulle spalle di un territorio di montagna molto fragile: piove sul bagnato, dopo tre anni di commissariamento della Provincia ordinaria e il tentativo di farla rinascere sia pure su presupposti resi particolarmente aleatori dalle nuove norme nazionali.
Si manifestano i primi effetti concreti di quella riforma per lo svuotamento delle Province che secondo parecchi osservatori politici e studiosi della pubblica amministrazione è prevalentemente uno strumento per catalizzare facile consenso elettorale, magari parlando a ripetizione di «cancellazione» di questo livello dell’articolazione repubblicana peraltro previsto dalla Costituzione cui ora il governo Renzi intende metter mano anche per quanto riguarda il titolo V sulle poco amate autonomie locali.
Ora le speranze di Belluno (e anche di Sondrio) sono legate alla sostanziale equiparazione – nel maxiemendamento – delle province interamente montane alle città metropolitane, con una conseguenze riduzione della quota di personale definito in «esubero» e dunque da trasferire ad altri enti (dove evidentemente non sarebbe in esubero ma rappresenterebbe un costo aggiuntivo). I dipendenti da tagliare, dunque sarebbero il 30% del totale, non il 50%.
In queste ore a occuparsi della delicata faccenda è, fra gli altri, il sottosegretario alle autonomie locali Gianclaudio Bressa, da anni eletto in Alto Adige per il Pd ma bellunese e già sindaco del capoluogo dolomitico veneto. L’esponente del governo ha parlato in questi giorni delle Province come di un ente dal profilo anacronistico e ha tranquillizzato tutti sulla transizione “soft” prevista per il personale cui, però, come ha ricordato il ministro Mariana Madia, in caso di mancato ricollocamento, trascorsi due anni, toccherà la mobilità.
La protesta, animata anche dai principali sindacati, dilaga in tutta Italia e riguarda sia il personale a rischio sia gli aspetti concretamente funzionali, i servizi che sono in crisi e rischiano di saltare (anche per i tagli ai trasferimenti finanziari), dalla manutenzione degli edifici scolastici alla sistemazione delle strade, agli interventi di prevenzione idrogeologica.
Di fronte a questo ennesimo scenario di pesante incertezza, che peraltro si perpetua sin da quando il governo Monti cominciò il balletto del ridisegno delle Province, anche il personale di palazzo Piloni, la sede dell’ente bellunese, il 18 dicembre ha proclamato lo stato di agitazione con tanto di presidio permanente 24 ore su 24, in piazza, per lanciare un nuovo grido d’allarme rivolto a una politica evidentemente insensibile e per informare i cittadini su quanto sta accadendo e sulle ricadute dirette che queste decisioni romane avranno sulla vita quotidiana della comunità locale.
Di «vero e proprio delirio istituzionale» parlano Cgil, Cisl e Uil locali, che accusano il governo di calare sul territorio decisioni non condivise che mettono in serio pericolo l’occupazione e i servizi.
In questo scenario appare come una magra consolazione che sullo sfondo rimanga il processo – peraltro lento e denso di incognite – tramite il quale la Regione Veneto si è impegnata a trasferire una vasta serie di competenze importanti in capo proprio alla Provincia di Belluno riconoscendole finalmente una forma di autonomia che le comunità montanare reclamano da decenni. Infatti, c’è da chiedersi, di questo passo, a quale ente provinciale sarebbero consegnate da Venezia le chiavi dell’autogoverno: forse a una scatola ormai semivuota e non più elettiva, visto che gli organi sono indicati dai consigli comunali (che, per la cronaca, due mesi fa hanno scelto come presidente il sindaco di Auronzo di Cadore, Daniela Larese Filon, la cui voce in questi giorni roventi non si è fatta particolarmente notare).
Durissimo il commento del movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti): «Non c’è alcuna volontà da parte del governo Renzi di applicare la legge Delrio anche laddove, a parole, riconosce la specialità montana di Belluno, Sondrio e Verbania. Una colossale presa in giro per un territorio che ha chiesto in ogni modo ed ad ogni livello di avere gli strumenti di governo necessari per governare le Dolomiti e poter competere alla pari con Trento e Bolzano».
Il movimento autonomista, che polemizza con il Pd locale perché ha appoggiato l’odiata riforma Delrio, invita dunque a «una reazione forte di tutti i soggetti del territorio per chiedere il trasferimento immediato delle competenze previste dallo Statuto del Veneto, compreso il demanio idrico; il mantenimento del personale provinciale e la sua riorganizzazione per la gestione delle nuove risorse e competenze; l’ingresso immediato nell’Euregio, accanto a Trento e Bolzano; uno Statuto provinciale basato su autonomia ed elezione diretta del presidente e del consiglio».
Volendo tentare (faticosamente) di essere ottimisti, si potrebbe interpretare l’equiparazione delle Province montane alle Città metropolitane come un piccolo spiraglio per orientare nei prossimi mesi il legislatore verso la definizione formale della specificità di questi territori, con la conseguente attribuzione di strumenti di governo coerenti.
Naturalmente servirà un’azione politica particolarmente pressante, sia localmente, sia a Venezia, sia a Roma, affinché questo spiraglio sia il prodromo di un percorso verso un nuovo assetto istituzionale, solido e condiviso con le popolazioni.