Stando a numerosi Tg nazionali trasmessi fra ieri e oggi, sono l’acqua alta a San Marco e gli yacht di Rapallo le immagini simbolo della catastrofe meteo abbattutasi tragicamente su alcune zone d’Italia.
L’impressione è che si fatichi veramente a mettere a fuoco l’idea che a finire veramente in ginocchio (tanto per cambiare) sono le zone di montagna, già largamente abbandonate dalle politiche nazionali (a eccezione di alcune aree con status autonomo e peraltro sempre più nel mirino del neocentralismo che avanza).
È deprimente che i Tg non si concentrino sul filo conduttore drammatico che unisce i territori alpini (per esempio il Bellunese e il Trentino, entrambi devastati da 48 ore in balìa dell’acqua e del vento), che l’informazione non offra all’opinione pubblica un quadro esauriente e unitario di un’emergenza da ricondurre alla più vasta questione montagna.
D’altra parte ricordo pochi anni fa, mentre si preparava la deleteria legge per semidistruggere le Province ordinarie, un ministro che accoglieva come ineluttabile e probabilmente auspicabile lo spopolamento dei paesini di montagna, così scomodi per chi ci vive e per chi deve assicurare loro un minimo vitale di servizi.
In questo Paese (e in Europa pure, salvo poche eccezioni fisiologiche tipo Svizzera e Austria) continua a mancare un discorso serio sullo stato e sulla sofferenza della montagna, sulla necessità di costruire fra l’altro sistemi istituzionali differenziati che consentano agli abitanti decisioni politiche e relativi finanziamenti per assicurare una vita dignitosa fra rocce aspre e strade a rischio.
Reputo, al contrario, altamente probabile che forze politiche di governo possano riproporci discorsi insensati come l’abolizione delle province (fondamentale snodo della democrazia territoriale, già colpito da una riforma folle) e la riduzione sic et simpliciter dei parlamentari (quindi della rappresentanza, naturalmente penalizzando le aree periferiche e meno popolose). La riduzione del numero di deputati e senatori potrebbe avere un senso, certo, ma solo nel quadro di una riforma federale che assicuri il massimo di autogoverno locale e un’articolazione reticolare delle istituzioni che, parallelamente al dimagrimento parlamentare, trasferisca poteri reali da Roma alle periferie.
Forse per vedere un barlume di una simile profondità di pensiero ci vorrebbe per i numerosi eletti metropolitani di governo e di opposizione un annetto di soggiorno montano nei paesi in quota, fra torrenti in piena, vento che soffia, alberi che cadono e viveri che scarseggiano, magari al freddo fra un blackout e l’altro e con le strade interrotte da frane e alluvioni.
Forse.