L’Italia di fronte al caos geopoliticoL’Italia di fronte al caos geopolitico



L’esplosione di nuovi conflitto dopo oltre un decennio di destabilizzaizone bellica, dall’Afghanistan all’Iraq alla Libia; il ruolo marginale dell’Europa e dell’Italia; la sfida per la collettività nazionale e la comunità internazionale di fronte a un quadro geopolitico fluido e denso di incognite. Le analisi di Khaled Fouad Allam, Massimo D’Alema e Emma Bonino in un convegno svoltosi a metà febbraio 2015 a Roma [registrazione tratta dall’archivio di Radio Radicale, licenza Creative Commons]. Emma Bonino, fra l’altro, ha condannato pesantemente la decisione del governo Renzi di interrompere l’operazione di soccorso in mare di migranti Mare Nostrum, “un’iniziativa di cui l’Italia doveva andare orgogliosa”.

Nel programma, andato in onda in Fm il 24 febbraio 2015 a Radio Cooperativa, anche l’intervento di Lorenzo Bogo (Casa dei beni comuni di Belluno) sempre sui temi dei conflitti e delle conseguenti migrazioni, della fuga di profughi e delle modalità di accoglienza e di trattamento che l’Italia e l’Europa riservano loro, a cominciare dai richiedenti asilo. La questione, nel microcosmo bellunese, è stata anche oggetto di un’inchiesta del sito Web Bellunopiu.it sulle modalità di accoglienza di profughi e richiedenti asilo.

Schiavone: i migranti e noiSchiavone: i migranti e noi



Il programma andato in onda in Fm il 17  febbraio 2015: intervista con Gianfranco Schiavone, registrata a margine di un incontro pubblico svoltosi a Belluno con l’esperto dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione. L’iniziativa è del sito Web Bellunopiu.it che ha anche svolto un’interessante inchiesta sulle modalità di accoglienza di profughi e richiedenti asilo nel Bellunese, cercando di capire come vengono impiegate dalle realtà convenzionate con lo Stato le risorse pubbliche destinate a un’ospitalità che non sempre risulta rispondente alle esigenze delle persone interessate, specie in relazione alle forme di integrazione nel tessuto sociale locale. Nella sua analisi, registrata nel novembre scorso, lo studioso denunciava, fra l’altro, i nuovi rischi umanitari connessi con la decisione del governo Renzi di interrompere, dopo un anno, l’operazione di soccorso Mare Nostrum, avviata dall’esecutivo Letta nell’ottobre 2013, dopo il tragico naufragio nel quale persero la vita oltre 300 persone. Un paio di settimane fa, una nuova tragedia in mare, con circa 400 vittime al largo di Lampedusa, ha purtroppo confermato questa allarmata previsione. Lo studioso esamina anche le modalità di accoglienza dei profughi in Italia e indica qualche possibile opzione per affrontarne le criticità.

Stedile, idee oltre il liberismoStedile, idee oltre il liberismo



“Voci dalle Dolomiti” trasmesso in Fm a Radio Cooperativa il 10 febbraio 2015. In scaletta: l’assalto ai corsi d’acqua per l’ipersfruttamento idroelettrico speculativo, finanziato da generosi contributi statali (prelevati nelle bollette dei cittadini) perché questa fonte di energia è impropriamente assimilata dalla legge alle rinnovabili, malgrado i gravi effetti negativi sugli ecosistemi. Inoltre, viene proposta la registrazione di un intervento svolto all’OltrEconomia Festival di Trento dall’economista brasiliano João Pedro Stédile, esponente del movimento Sem Terra: si tratta di un’analisi della possibilità di costruire un’alternativa più giusta, equa e compatibile con la natura (non solo umana) rispetto al dilagante modello neoliberista che attribuisce tutto il potere alle minoranze che controllano il mondo finanziario e produttivo.

Vendramini, sguardi sulla storiaVendramini, sguardi sulla storia



Trasmisisone in onda in Fm il 3 febbraio 2015 a Radio Cooperativa: si parla di “Qui”, docufilm sul movimento NoTav andato in scena anche a Belluno. Inoltre, in scaletta, una rassegna letteraria dedicata ad alcuni volumi dello storico Ferruccio Vendramini, fra i quali un’opera dedicata alla figura delle levatrici, le donne che per secoli hanno aiutato altre donne a mettere al mondo i figli.

Tra le altre opere letterarie segnalate, un volume di Toni Sirena, con ampio apparato iconografico, dedicato alla Prima guerra mondiale a Belluno, e uno di Fabio Galluccio che rievoca la tragica pagina dei lager fatti istituire in tutta Italia dal fascimo per deportarvi ebrei, dissidenti politici e stranieri.

Si riparlerà anche della mozione in Provincia per l’adesione di Belluno all’Euregio, caldeggiata anche nel mondo politico trentino: la proposta avanza dal consigliere di minoranza Moreno Broccon del Bard  è stata sospesa per volere della maggioranza, se ne riparlerà fra sei mesi.

Euregio, Belluno ci pensaEuregio, Belluno ci pensa



Trasmissione in onda in Fm il 27 gennaio a Radio Cooperativa. Nel podcast si parla delle iniziative in Provincia a Belluno per l’adesione all’Euregio con Trento, Bolzano e il Tirolo. Nella seconda parte, la registrazione della camminata partigiana sulle Vette Feltrine con Alberto Castelli e altri, per discutere sulle condizioni attuali di una democrazia vittima di una deriva populista.

Difesa della Provincia e dei fiumiDifesa della Provincia e dei fiumi



Podcast del programma trasmesso a Radio Cooperativa il 20 gennaio 2015: la situazione dell’ente provinciale a Belluno, con tagli al personale imposti da Roma e servizi a rischio, mentre il Veneto rinvia ancora il trasferimento di competenze amministrative e regolamentari previste dalla legge dell’8 agosto 2014. In trasmissione si parla anche dell’appello per la difesa dei fiumi italiani colpiti dall’ipersfruttamento idroelettrico: un’iniziativa che vede fra i promotori il comitato bellunese acqua bene comune (conferenza stampa alla Camera dei deputati con la bellunese Lucia Ruffato).

Autonomia, Venezia ora frenaAutonomia, Venezia ora frena



“Voci dalle Dolomiti” andato in onda il 13 gennaio 2015, si è occupato fra l’altro delle dichiarazioni del presidente veneto Luca Zaia che, a un mese dallo scadere del termine di legge sul trasferimento alla Provincia di Belluno di una serie di competenze regionali, afferma che non ci sono i soldi necessari per attuare l’autonomia montana e se la cava a buon mercato incolpando Roma. Reazioni e repliche secche, come quella del movimento Bard che invita la giunta regionale a rispettare quanto previsto dalla norma approvata nell’agosto scorso (che dà attuazione a quanto già sancito dallo Statuto veneto).

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Idroelettrico, il paradiso incentiviIdroelettrico, il paradiso incentivi

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Da tempo in provincia di Belluno è in corso una diffusa  lotta popolare per contrastare la crescente cementificazione dei corsi d’acqua.

Il movimento per l’acqua chiede una moratoria sulle quasi 200 domande per nuove centraline alle quali le autorità regionali – come sempre – sarebbero pronte a dare l’Ok allettando con briciole di canone gli enti locali finanziariamente ridotti allo stremo. Una battaglia che ora diventa nazionale, grazie all’appello per la difesa dei fiumi lanciato da Legambiente, Wwf Italia, Mountain Wilderness Italia, Federazione pesca sportiva, Cai, Forum italiano dei movimenti per l’acqua, Comitato bellunese acqua bene comune e sottoscritto via via da una miriade di realtà organizzate.
Emblematica è la vicenda della selvaggia valle del Mis che collega la Valbelluna e l’Agordino. Qui, in località ponte Titele, all’improvviso, l’alveo del torrente Mis è offeso da colate di cemento armato, ciò che rimane (tutto da risanare) del cantiere di una centrale idroelettrica avviato nel marzo 2012, su autorizzazione della Regione Veneto, dalla società bresciana Valsabbia Spa.

Il progetto, approvato dalle autorità regionali malgrado toccasse un’area protetta, è stato bloccato definitivamente da una sentenza della Corte di cassazione. Un risultato frutto della vasta mobilitazione popolare che oggi prosegue, a suon di marce e ricorsi legali, per difendere quel dieci per cento di acque bellunesi non ancora oggetto di sfruttamento idroelettrico.

Nel caso specifico, peraltro, ancora nessuno si è occupato del ripristino ambientale: né l’impresa né gli enti pubblici. L’alveo del Mis resta pesantemente cementificato il comitato bellunese acqua bene comune chiedono con insistenza che si intervenga ma la beffa è che il mese scorso a subire una condanna da un Tribunale, unico soggetto colpito dalla «giustizia» a fronte dell’apertura di un’opera stoppata dalla Cassazione, è stato un atttivista del movimento, perché nel corso di una manifestazione per il ripristino ambientale (nel novembre 2013) entrò nell’ex cantiere malgrado il questore avesse vietato l’accesso.

Oltretutto, ora, nella stessa zona incombe un altro progetto, contestato anche dal Comune (siamo nel territorio di Gosaldo) ma che potrebbe trovare il via libera in Regione Veneto.
Ormai da anni nel Bellunese è tutto un rincorrere progetti per sfruttare i tratti residui dei corsi d’acqua non ancora interessati (il 90% dei torrenti è già sfruttato per l’idroelettrico).

Le richieste di derivazioni fioccano, spesso firmate da società venute da fuori, per godere negli anni del reddito garantito dagli incentivi statali oppure con intenti doppiamente speculativi (ottenere la concessioni e poi cedere il redditizio impianto al miglior offerente). L’idroelettrico è assimilato dalla legislazione alle energie rinnovabili, malgrado il suo pesante impatto ambientale e sociale. Perciò, viene sostenuto tramite un generoso sistema di incentivi pubblici finanziati mediante il prelievo nelle bollette degli italiani.

Ma equiparare una colata di cemento nell’alveo di un torrente a dei pannelli solari sul tetto di un edificio appare francamente grottesco.

Si rileva, fra l’altro, che questro proliferare di impianti idroelettrici, a fronte di un pesante impatto ambientale complessivo con danni sia all’exosistema fluviale sia all’economia locale, ha uno peso assolutamente marginale nella produzione energetica nazionale: si potrebbe ottenere molto di più rendendo più efficienti le grandi centrali storiche.

A Belluno si denuncia una forma di colonizzazione della montagna, che depauperando fiumi e torrenti viola la natura e danneggia anche il turismo (un altro fronte polemico è il rifornimento irriguo alle colture della pianura veneta).

Così la difesa dell’acqua diventa anche un emblema della battaglia trasversale per l’autonomia amministrativa di una provincia dolomitica che rifiuta il ruolo di terra di conquista e chiede strumenti politici per favorire la vita in ambito montano. E siamo nelle vallate travolte dall’orrore del Vajont: duemila vittime del rapace business idroelettrico, cinquant’anni fa, il 9 ottobre 1963.

Di seguito un comunicato stampa diffuso qualche giorno fa dal Comitato bellunese acqua bene comune e da Peraltrestrade Dolomiti.

La nota riguarda un altro caso discusso, questa volta nell’area orientale del Bellunese, ma contiene alcuni dati interessanti su dimensioni e caratteristiche dell’intero capitolo idroelettrico sulle Alpi.

«Il 22 gennaio – si legge nel documento – ha avuto luogo a Lozzo di Cadore il sopralluogo per un nuovo impianto idroelettrico sul Rio Rin, committente la società Lumiei Impianti srl di Sauris (Udine la stessa che ha già costruito un impianto sul torrente Piova in territorio di Vigo.
Il tratto che si vuole derivare si trova immediatamente a monte dell’attuale impianto Baldovin e avrà una lunghezza di quasi tre chilometri.

Preleverà una portata massima di 220 litri/secondo lasciando in alveo un deflusso minimo vitale da 20 a 28 l/s.

L’investimento sarà di 1.400.000 euro per un ricavo annuo stimato di 438.000 euro, a fronte di circa 19.000 euro di canoni e sovracanoni idrici da versare alla Provincia (10.000), al Bim (7.000) e al Comune di Lozzo (meno di 2.000 euro).

Due terzi del ricavo proverranno dagli incentivi governativi – garantiti e a fondo perduto – pagati dal contribuente italiano (in particolare normali cittadini, artigiani e piccole imprese) con la bolletta della luce. All’incontro erano presenti rappresentanti della ditta proponente, di Arpav, della Regione, del Genio civile, del Comune e del comitato Acqua bene comune Belluno.
Invitata ma non presente – non lo è praticamente mai – la Soprintendenza ai Beni Ambientali. Assenti i cittadini di Lozzo.

Tutto si è svolto come da prassi consolidata: incontro in municipio, illustrazione del progetto, sopralluogo sui posti della presa e del rilascio nella bella Valle dei Mulini; poi di nuovo in municipio per le osservazioni e la redazione del verbale. Se questo impianto verrà realizzato andrà ad aggiungersi a tutti quelli già costruiti in Provincia di Belluno e a 150 nuovi impianti mini-idro attualmente autorizzati o in istruttoria, a meno che non venga colta la richiesta di moratoria avanzata attraverso un Appello nazionale per la salvaguardia dei corsi d’acqua dall’eccesso di sfruttamento idroelettrico dalle maggiori associazioni nazionali, regionali e locali che si occupano di fiumi e di ambiente, Cai centrale incluso.

In assenza di una moratoria, una volta chiuso questo ciclo, per ammirare un torrente naturale che scende spumeggiante tra muschi e salti di roccia si dovrà sfogliare una rivista patinata o ripescare qualche vecchio filmato pubblicitario sulle Dolomiti, perché sul territorio non ce ne saranno praticamente più.
Bisogna agire ora, se non si vuole rischiare di rendersi conto troppo tardi di quanto il nostro territorio sia stato impoverito, in cambio di nulla o di poche briciole, a fronte di un contributo energetico riconosciuto e documentato come scarsamente significativo. Nessuno può tirarsi fuori, a cominciare da chi ci amministra, a tutti i livelli. Nessuno può affermare che non ha visto, o che non sa».

Belluno autonoma, ecco chi dice noBelluno autonoma, ecco chi dice no



«L’emendamento era semplice e giusto ma l’hanno respinto. Il risultato del voto pur tra mille ragioni e distinguo dice con chiarezze chi è a favore dell’autonomia e che invece in Parlamento non lavora per il Veneto e per Belluno ma serve un altro padrone. Dice anche che in alcuni partiti la discussione sulle autonomie è giunta a una decisione unanime, in altri ognuno fa quel che gli pare. Gli interessi delle comunità sembrano assai lontani dall’aula della Camera dove, forse, arriva qualche eco lontana delle reali necessità che il governo locale ha».

È il commento severo del movimento autonomista bellunese Bard, dopo la bocciatura, nell’aula di Montecitorio, di una norma che attribuiva una forma speciale di autonomia istituzionale alle province a statuto ordinario interamente montane, cioè in particolare a Belluno e a Sondrio.

La previsione era contenuta in un emendamento proposto come primo firmatario dall’ex presidente trentino e oggi deputato Lorenzo Dellai (Per l’Italia – Democrazia solidale), affiancato dal collega di gruppo Gian Luigi Gigli e da Simonetta Rubinato (minoranza Pd), nell’ambito della discussione del disegno di legge costituzionale sul superamento del bicameralismo paritario e la revisione del titolo V (autonomie locali).

«Nel corso della discussione relativa all’art. 30, che si riferisce

alla modifica da apportare all’art 117 della Costituzione,

è stata presentata una proposta di emendamento che recitava:

 “Possono essere altresì attribuite con legge costituzionale

ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia

ai territori di area vasta interamente montani confinanti con Stati stranieri”.

Il riferimento evidente è alla provincia di Belluno, infatti, il deputato Gigli, eletto in Friuli, ha affermato, nel corso del suo intervento ha commentato: “Abbiamo presentato questo emendamento sulla montagna con riferimento a una particolare montagna, la montagna del bellunese. Quest’aula nei mesi scorsi si è più volte occupata dei problemi della montagna garantendo ogni volta particolari forme di tutela e sostegno anche nell’interesse più generale del Paese. Oggi noi siamo qui a ricordare che è certamente ancor più difficile amministrare le zone di montagna quando hanno accanto due regioni a statuto speciale ed hanno un confine con un altro Stato. È per questo che vorremmo fosse accolto da tutti, se non è stato possibile accogliere gli emendamenti a favore della regione Veneto, almeno il principio del riconoscimento della possibilità di sviluppare forme di autonomia particolare per le zone di area vasta interamente ricomprese da montagne che siano confinanti con regioni a statuto speciale e con Paesi esteri”», conclude il Bard.

Il Bard è andato anche a verificare come si sono espressi i vari gruppi e i singoli parlamentari, così da poter richiamare ognuno alle sue responsabilità: «Hanno votato sì in 102, no in 313. Hanno votato si 64 deputati del Movimento 5 stelle, 16 della Lega Nord, 5 di Forza Italia, 7 del Pd e 3 del gruppo Per l’Italia.
Tra i Deputati eletti in Veneto hanno votato si cinque della Lega Nord, otto del Movimento cinque stelle (due gli assenti), due del Pd (13 contrari, sei assenti e uno in missione), nessuno di Fi (due contrari, quattro assenti e uno in missione), tre di Scelta civica (uno in missione), nessuno di Sel (due contrari)».

Lorenzo Dellai, nei giorni scorsi, aveva a sua volta espresso un giudizio particolarmente critico sulla decisione del governo di non accogliere la riforma proposta: «Da convinti autonomisti e sostenitori delle zone montane – aveva detto – esprimiamo rammarico per il fatto che la maggioranza, di cui pure facciamo parte, non abbia saputo cogliere l’opportunità di permettere ai territori di area vasta interamente montani, come Belluno o Sondrio, di avere strumenti di autogoverno simili a quelli trentini e friulani».

Lo stesso ex presidente trentino, peraltro, ha anticipato che nelle prossime settimane tornerannoi all’ordine del giorno proposte ementative di simile tenore, per riprovare a sensibilizzare il Parlamento sulla necessità di dotare di strumenti di autogovenor anche le aree alpine che oggi ne sono sprovviste perché non godono di uno statuto speciale.

Blitz contro il boom di centraliBlitz contro il boom di centrali



Nel Feltrino un blitz dimostrativo dei «#FreeRivers» nel quale, come si legge in una nota, è stato «liberato» il torrente Stien, nella valle di San Martino, all’interno del Parco nazionale delle dolomiti bellunesi. Gli autori dell’incursione, in sostanza, hanno chiuso un’opera di presa di Enel Greeen Power, con il risultato – documentato dalle fotografie – che nell’alveo del torrente è tornata temporaneamente a scorrere l’acqua.

Si aggiunge così un nuovo tassello alla mobilitazione nel Bellunese contro nuovi progetti di centrali idroelettriche che cementificano i corsi d’acqua e sulle quali ora si chiede una moratoria totale rilevando fra l’altro che il proliferare di “piccoli” impianti ha un ritorno irrisorio dal punto di vista della produzione (si suggerisce, invece, di ammordernare le grandi centrali storiche).

L’azione sullo Stien si inserisce in un contesto che attorno al tema della tutela dei corsi d’acqua si sta facendo ad alta tensione, dopo anni di mobilitazioni popolari che hanno ottenuto qualche successo ma anche molte sconfitte, con la Regione Veneto sempre incline a rilasciare le autorizzazioni per lo sfruttamento idroelettrico (il business sta nei generosi incentivi statali che paghiamo tutti nella bolletta).

Ma in provincia di Belluno ormai, fa notare

il Comitato acqua bene comune, oltre il 90%

dei corsi d’acqua è interessato da interventi

di cementificazione a scopo idroelettrico.

Così come la valle del Mis, anche la bucolica valle di San Martino, nel mirino per un nuovo progetto di centrale, è diventata un simbolo della lotta contro quello che viene considerato un mero fenomeno speculativo, messo in atto da aziende private (in genere da fuori provincia), con un ritorno finanziario irrilevante per gli enti locali.

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Se l’Enel precisa che il suo impianto non ha subito danni, gli autori del blitz, un po’ alla stregua degli Anonimous del Web ma questa volta nella vita reale, hanno lasciato sul posto uno striscione hanno diffuso una nota di rivendicazione in cui fanno una serie di riflessioni sul rapporto fra patrimonio naturale, comunità locali della montagna e speculazione economica: «Un fiume – scrivono – lo si può intubare, lo si può deviare ma se si prova a sbarrarlo completamente tracima. Per quanto si provi a controllarlo, a costringerlo a reprimerlo, non si riuscirà mai a fermarlo completamente.
Continuerà a spingere, a spingere, a spingere, un fiume sa che deve spingere per arrivare al mare.

Come i fiumi, anche i movimenti sanno che devono spingere per vincere, per arrivare al mare.
Non bastano le “ragioni” della protesta. Se bastassero le “ragioni” non si prenderebbe nemmeno in considerazione l’ipotesi di costruire il tav in Val di Susa o di costruire altre centrali idroelettriche nel bellunese.

Il movimento bellunese per l’acqua bene comune ha prodotto tutto il necessario per dimostrare il furto legalizzato che sta alla base del business dell’idroelettrico nel bellunese. Ha dimostrato come questi oltre 130 nuovi impianti, che si vorrebbero realizzare nell’ultimo 10% di acqua rimasta libera di scorrere nel proprio alveo (il restante 90% è già artificilizzato), non hanno altro motivo di esistere se non quello di ingrassare i conti correnti di chi vorrebbe costruirle.

Il movimento ha dimostrato tutto questo con convegni, libri, incontri pubblici, studi e ricorsi, supportando queste “ragioni” con decine e decine di iniziative che hanno coinvolto complessivamente migliaia di cittadini bellunesi.

Eppure la Regione Veneto di Luca Zaia continua ad autorizzare nuovi impanti.

Evidentemente bisogna, come i fiumi, continuare a spingere perché i beni comuni si difendono e si conquistano a spinta.

Per questo, oggi, alla repressione di Stato fatta di tribunali, giudici, galere, che sta colpendo chi lotta contro la devastazione ambientale e per i diritti sociali in questo paese, rispondiamo con un’iniziativa simbolica che parla di libertà.

È anche per tutti e tutte loro che oggi abbiamo deciso di liberare queste acque, chiudendo un’opera di presa dell’Enel sul torrente Stien, in valle di San Martino, all’interno del Parco nazionale delle dolomiti bellunesi».

Regionali, il Bard scende in campoRegionali, il Bard scende in campo



[riceviamo e volentieri pubblichiamo questo comunicato]

«Il movimento Belluno Autonoma Regione Dolomiti – BARD, viste le persistenti difficoltà a convincere i partiti nazionali bellunesi ad assumere posizioni politiche a tutela delle comunità dolomitiche, ha deciso di fare ogni tentativo possibile al fine di poter presentare una propria lista con un proprio candidato consigliere regionale alle prossime elezioni in Regione Veneto.
La legge elettorale regionale impone a ogni lista di raccogliere sottoscrizioni almeno in cinque province.

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Sulle creste fra Talvena e PeronSulle creste fra Talvena e Peron



Oggi la nostra escursione sui monti bellunesi ci porta verso le cime che sovrastano i paesi di Tisoi e di Barp, sul versante settentrionale della Valbelluna, nel gruppo della Schiara, al confine fra i territori comunali del capoluogo provinciale e di Sedico.

Si tratta di un percorso adatto solo a escursionisti esperti, perché presenta qualche tratto particolarmente ripido, richiede allenamento, buon senso dell’orientamento e capacità di individuare le tracce di sentiero.

Per i meno ardimentosi, segue una proposta alternativa che rappresenta una variante più facile rispetto al giro qui descritto.

Il nostro punto di partenza è il paesino di Giazzoi (565 slm): per chi viene da Belluno, dopo aver oltrepassato Tisoi, si prosegue un paio di chilometri in direzione Bolago e si incrocia il bivio a destra. Qui si potrà scegliere se parcheggiare (nei pressi della fermata del bus), allungando il cammino di almeno un’ora, oppure se salire ancora un po’ imboccando la stradina che sale ripida verso nord e poco dopo diventa sterrata (carrozzabile fino a quota 800 circa). Un’altra opzione è l’avvicinamento sulla carrareccia in sella alla mountain bike, che si dovrà poi lasciare attorno a quota 950, a Pian de Regnac, nei pressi di una diramazione su cui torneremo più avanti.

Proseguendo sulla strada silvo-pastorale, che sale parallela alla sinistra orografica del torrente Gresal, ci lasciamo sulla destra il bivio per casera Zoppa e Pian di Neve.

La mulattiera, segnavia Cai 510, sale lambendo il fianco occidentale della Talvena, cima a quota 1.534 caratterizzata dalle ampie praterie sommitali esposte a sud, panoramiche e ben soleggiate (questo vetta sarà la metà di un futuro itinerario di Bellunopop.it).

La nostra scelta per un percorso un po’ avventuroso ci porta a lasciare il segnavia 510 (che ritroveremo sulla via del ritorno) per seguire invece sulla destra un evidente sentiero non marcato che si alza in direzione nord-est portandoci rapidamente sotto le pareti nord-occidentali della Talvena, prima di spegnersi su un ripido pendio erboso che seguiremo a vista verso le creste soprastanti. In questo tratto, sconsigliato in presenza di molta neve, saranno utili in ogni caso i ramponi, per evitare il rischio di scivolare.

Ci troviamo, dopo circa un’ora di ascesa, sulle creste alle spalle della Talvena, a sud della Pala Alta e a est del monte Peron . Interessanti gli scorci panoramici da un lato, nello squarcio alla sinistra della Talvena, verso il monte Serva e la città di Belluno, dall’altro verso la Valbelluna, i monti della Sinistra Piave e la valle attraversata dal fiume.

Nei pressi della cresta, a quota 1.400 circa, aiutati nella salita da alberi e roccette, sotto la cima della Tesa, incroceremo il sentiero Cai 512 che sulla destra raggiunge, da nord verso sud, la vetta della Talvena e poi scende verso Bolzano Bellunese.

Noi lo imboccheremo invece verso sinistra, per scendere rapidamente fino alla mulattiera già percorsa all’inizio del cammino.

Il segnavia nella prima parte segue in discesa un traverso a tratti scomodo, su manto erboso, che può presentare qualche insidia, specie se reso scivoloso dall’acqua o dalla neve (non sarà un caso se il toponimo è “Lisse”): anche qui si riveleranno preziosi i ramponcini.

Dopo questa traversata su terreno aperto, il sentiero scende piuttosto ripidamente nel bosco rado, con graduale diminuzione della pendenza, fino al bivio con il segnavia 510 che ci riporterà verso il punto di partenza dopo circa due ore di escursione.

Un’alternativa semplice, per chi vuole evitare i tratti ripidi, è la salita fino alla panoramica chiesetta di San Giorgio (1.300 slm, vista a sud sulla Valbelluna) ed eventualmente all’omonima cima (1.355, vedute anche verso nord sull’Agordino), raggiungibile dal nostro punto di partenza seguendo sempre il segnavia 510 che poi gira a ovest verso Pian della Fraina, attraversa il torrente, e incrocia la mulattiera principale che sale da Pian dei Castaldi e dal paese di Barp (la imbocchiamo girando a destra), attraversando un inconfondibile arco costruito con pietre, oltre il quale il sentiero procede brevemente a tornanti (a sinistra per la chiesetta, rientro sulla via dell’andata).

Itinerario verificato il 4 dicembre 2014.

Riferimento topografico: carta Tabacco 1:25.000, foglio n° 024.

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